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Riflessioni sul valore del cibo

L’OSSERVATORE ROMANO - domenica 12 febbraio 2017

di CARLO TRIARICO

È urgente un intervento sul cibo e una profonda riflessione sul suo rapporto con l’umanità. A distanza di pochi anni dalla catastrofe alimentare del 2011, la Fao rilancia in questi giorni l’allarme sul Corno d’Africa: decine di milioni di esseri umani di quell’area potranno essere privati, nei prossimi mesi, delle risorse alimentari minime per la sussistenza. L’Igad, l’autority intergovernativa per lo sviluppo, sta lanciando proprio in questi giorni un piano per la resilienza ai disastri con l’adattamento ai cambiamenti climatici e la gestione dei rischi.

La ricerca scientifica aveva previsto il ritorno di siccità e inondazioni con cicli di cinque-sette anni e con ancora più gravi conseguenze che in passato. Puntualmente rispetto alle previsioni, tra dicembre e gennaio, l’oceano pacifico centro meridionale ha registrato un innalzamento della temperatura fuori dal normale, con riflessi drammatici sul clima. Secondo gli esperti gli effetti iniziano già a colpire drammaticamente i paesi poveri. In Gibuti, Eritrea, Etiopia, Kenya, Sudan, Uganda le precipitazioni si sono già ridotte del 25 per cento e grandi masse iniziano a spostarsi da quei paesi. Non sono certo i soli.  Il viceministro degli esteri italiano, Mario Giro, lo scorso aprile ha diffuso i dati ufficiali, che indicano in un terzo del totale i migranti per motivi climatici. Per ora solo una piccola avanguardia di decine di milioni di disperati arriva fino a noi, ma la risposta dei paesi ricchi ai paesi del Sud del mondo non può essere il rifiuto del problema. Meno ancora è accettabile la richiesta a quelle vite di non cercare la salvezza, di non sopravvivere e di non procreare. La prole è per loro stabilità e benessere. Nel Global Risks Report 2017, settecentocinquanta esperti hanno individuato i maggiori rischi nella disparità e nei cambiamenti climatici. Per gli ultimi i rischi sono già una realtà di costante instabilità. Cinquanta anni fa la Populorum progressio invocava per tutta l’umanità una vita pienamente umana. Cosa comporta dover ammettere che per milioni di vivi non è possibile essere umani? Si tratta di milioni di anime che anelano a portare pienezza al mondo e non possono farlo. La crescita demografica ha una relazione col bisogno crescente, che questo mondo ha, della presenza sulla terra del lume spirituale che gli esseri umani gli portano. Andrebbe dunque governata con saggezza, costruendo le condizioni per una genitorialità responsabile e per un umanesimo pieno che salvi la Terra. Avremmo già ora le conoscenze, le tecniche e le risorse rinnovabili per nutrire la popolazione, almeno quanta il mondo ne conterrà nel 2050. Ma dobbiamo cambiare passo. Considerare il ricco solo un consumatore e il povero solo una pericolosa bocca vorace è una condizione dell’economia basata sulle risorse non rinnovabili. L’umanità che sta consumando irreversibilmente il mondo vive l’altro come un competitore, non riconosce sé stessa, perde di identità. Cibo ed essere umano vivono una sorte comune. Anche per il cibo, il principale problema è il suo valore, in termini sostanziali e morali. Un cibo spazzatura provoca gravi problemi alla salute e non apporta gli elementi essenziali alla nutrizione. C’è di peggio: un cibo svilito finisce per essere inquinato, sprecato in larga quantità, sottratto a chi ne ha bisogno, o mangiato in eccesso. Spesso è trasformato in merce per l’economia finanziaria. Sempre più agricoltori abbandonano i campi, aree agricole subiscono inquinamenti irreversibili, o restano incolte, aziende vanno abbandonate e tante terre finiscono per essere sequestrate dalla speculazione o sottratte alla coltivazione. In quel drammatico 2011 il cancelliere della Pontificia Accademia delle scienze, l’arcivescovo Marcelo Sánchez Sorondo, lanciò un appello per la sicurezza alimentare. Serviva e serve cibo che nutra e un intervento immediato per limitare la catastrofe e governare il problema, ma serve anche una riflessione sul valore del cibo. Il magistero della Chiesa ha confermato il suo impegno in questi anni. Su questo tema il 14 febbraio la storica sede della Pontificia Accademia sarà ancora impegnata in un simposio scientifico, cui in tanti guardano con speranza, specie nel mondo dell’agricoltura. Sì, il cibo manca a troppi e manca soprattutto la sua qualità. Un cibo non giusto, consuma le risorse, inquina il pianeta, sfrutta l’uomo o lo fa ammalare. Dobbiamo riflettere sugli effetti dell’introduzione, in questi anni, di un cibo lontano dall’umano. Il cristianesimo ha liberato tutti gli alimenti: non c’è un alimento in sé impuro quando è nella stessa corrente di salvezza che interessa l’essere umano. La sacralità del cibo è stata unita con la sacralità della vita umana ed è stata onorata da generazioni, con la parsimonia, la riconoscenza, la condivisione. La dieta che unisce i popoli del mediterraneo ne è un esempio. C’è sempre un sacrificio nell’alimentazione e c’è sempre tanto da ringraziare. Possiamo domandarci allora cosa comporta per tutti noi dover ammettere che l’umanità conosce in questi anni un cibo inumano e che tanti esseri umani, al pari, sono esclusi e reietti dal mondo. Gli accademici e gli scienziati lavorino alla loro importante missione di conoscenza con lo sguardo agli agricoltori che custodiscono la terra e sfamano il pianeta. All’incontro e all’alleanza di queste due correnti, all’accettazione della loro missione, al riconoscimento reciproco della dignità dei saperi e alla loro capacità di parlare insieme al mondo è affidato un passo essenziale per il superamento della crisi alimentare

Di Carlo Triarico

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